La parola rifugio richiama uno spazio di protezione, dove sentirsi a casa e dove riposare.
Il rifugio è anche un punto di riferimento per i viandanti, uno spazio che segna profondamente la geografia e la percorribilità di un territorio. Rifugio è quel luogo dove scambiare racconti e informazioni attorno al fuoco, dove incontrare persone accomunate dalla stessa avventura e dalle stesse passioni.
Gestire un rifugio è dunque, prima di tutto un’operazione culturale.
A maggior ragione se questo non si trova, come nel nostro caso, a quote alpine o in aree remote ma bensì in aree antropizzate e dove è sedimentato nel tempo un rapporto tra la struttura e le persone.
Fare ospitalità diventa dunque l’offerta di un modello di esperire lento, consapevole, legato al territorio e alle sue realtà socioculturali, dove il fruitore ha la possibilità di arricchirsi, condividendo saperi ed interessi e -grazie anche agli strumenti che gli vengono offerti- avere occasione di conoscere ed incontrare gli altri ospiti e il contesto che lo circonda.
Questa idea si pone all’interno di una riflessione più ampia che riguarda le “terre alte” e i loro processi di trasformazione. Processi economici, ma ancor prima culturali, dove il cambiamento può essere positivo e costruttivo se mediato da soggetti capaci di tessere relazioni, di facilitare la relazione tra ambito urbano e rurale, di attrarre diversità e di metterle in dialogo tra loro, generare nuove visioni e nuove opportunità.
Rifugio culturale è dunque un centro di formazione reciproca costante, rivolto alle comunità locali, ai visitatori occasionali e ad una rete di collaborazioni esterne, con cui produrre e comunicare riflessioni sull’abitare, sulla sostenibilità, sulla resilienza. Un rifugio che supera il modello puramente competitivo dell’offerta culturale e dell’ospitalità perché si pone l’obiettivo ambizioso di fungere da attivatore di reti di collaborazione territoriale, di offrirsi come spazio di delocalizzazione della produzione culturale dai centri urbani verso le aree interne, e come facilitatore per la messa a sistema delle risorse territoriali.
In questa idea di rifugio, l’ospite sarà prima di tutto un abitante (seppur temporaneo) del rifugio, della Riserva naturale, di Sestino e della montagna che lo circonda. Sarà un portatore di competenze e di idee, sarà attivo nella cura degli spazi e nella scoperta di storie, sarà attore dell’evoluzione del progetto nel tempo.
